giovedì 30 maggio 2013

Workaholism: una nuova forma di dipendenza legata alle tecnologie
Il termine, coniato nel 1971 dal medico-psicologo statunitense Wayne Edward Oates nel 1971, che lo utilizza nel titolo di un suo libro, descrive la sindrome da workaholism che si caratterizza per unadipendenza ossessivo-compulsiva dal lavoro e che “si manifesta attraverso richieste auto-imposte, un’incapacità di regolare le proprie abitudini di lavoro ed eccessiva indulgenza nel lavoro fino all’esclusione delle altre principali attività della vita” e anche “Persona il cui bisogno di lavorare é talmente eccessivo da creare notevoli disagi ed interferenze nello stato di salute, nella felicità personale, nelle relazioni personali e familiari e nel suo funzionamento sociale” ( il testo sopracitato è contenuto nel libro stesso. )



Si tratta quindi di un meccanismo di coinvolgmento totale ed assoluto di una persona nel proprio lavoro che, se in possesso di uno strumento per connettersi alla rete (tipicamente un PC, ma ormai anche smartphone e tablet) e della disponibilità di accedere alla stessa di fatto non distingue più il tempo-lavoro da quello che dovrebbe essere a sua disposizione per sè, i propri affetti, le relazioni sociali ecc… ed é tanto pericoloso da condurre sino alla morte, come documentato per la prima volta nel 1969 quando si constatò il decesso di un lavoratore per il troppo stress. 
E’ uno dei rischi, assieme all’isolamento dal contesto organizzativo ed al conseguente scarso livello di interazioni con colleghi e superiori, nei quali più tipicamente incorrere un telelavoratore, sia per un erroneo senso di colpa inquanto ci si sente privilegiati rispetto ai colleghi, sia per la voglia di dimostrare di riuscire a fare quanto viene loro richiesto dal punto di vista di prestazioni lavorative da rendere (ed anche più di queste). 


Il ruolo delle tecnologie, nell’ambito del fenomeno, é fondamentale in quanto la loro diffusione e la relativa semplicità di accesso alle stesse amplia di molto la platea di potenziali vittime di questa sindrome. Accanto a questo fattore, sicuramente determinante, si deve tenere in considerazione anche il fattore psicologico.
Una sempre più diffusa mentalità di approccio al lavoro induce gli individui a sentirsi “in debito” poichè non abbastanza produttivi. Basti pensare a quanto accade quotidianamente nelle realtà in cui siamo immersi: sui mezzi di trasporto, nelle sale aspetto, durante le pause pranzo, é un ininterrotto susseguirsi di squilli di telefono, notifiche di nuove email, suoni tipici dell’avvio del sistema operativo dei computer a ricordarci che attorno a noi ci sono persone che non riescono a distaccarsi dallo strunento che consente loro di essere “sempre connessi”. E così capita di sentir squillare un cellulare in situazioni che avrebbero dovuto essere di relax e che si trasformano, invece, in appendici del lavoro d’ufficio. 
Ovviamente le tecnologie hanno in ciò una “responsabilità” relativa. Evidentemente sono soltanto il veicolo di infezione di un morbo che é più tipicamente culturale e che dobbiamo imparare a curare, prevenendo le situazioni patologiche modificando gli stili di vita e riappropriandoci del nostro tempo, lasciando alle tecnologie il compito di migliorare la nostra qualità della vita e non di “schiavizzarci”.
Giulio

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